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   IVO MILAN – Radical Fashion Blog

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Nel varcare la soglia del 25 di rue Henry Monnier, tra Pigalle e Mont-Martre, un tappeto di sassi neri sonanti segna il repentino passaggio ad un’altra dimensione.

Non più la Parigi del Marais e della Fashion Week, non più le corse nel metro, non più l’inedita modernità dei monopattini elettrici, bensì una rilassata, quanto travolgente, suggestione bohemien prende il sopravvento nella boutique/show-room di Marc Le Bihan e Jean François Mimilla.

Gli arredi, i tavoli carichi di bijoux, anelli, collane, le luci, complici di faticosi giochi d’ombre che amplificano l’estesissimo assortimento della collezione, esposta in ordine di colore, tessuto, forma. Tutto si mescola con i capi dell’archivio storico di Marc Le Bihan, designer legatissimo al proprio percorso creativo rimasto coerente nel tempo.

Il suo lavoro si svolge in costante continuità con le performance degli esordi, ancora negli anni Novanta, affascinato dal linguaggio dei grandi giapponesi e del primo Margiela. Occorre molta attenzione per distinguere le novità all’interno della fitta presentazione, il catalogo rimane continuativo, si espande di stagione in stagione e ogni ordine può richiedere di attingere a pezzi dello storico.

La poetica languida di silhouette che rimarcano e portano in primo piano spalle e fianchi, insieme al tulle ricorrente, magnifico omaggio alle sensuali ballerine di Degas, si mescola nel suo contrario e diviene aspra, nelle finiture a taglio vivo, nella presenza del nero, smontato e rimontato su tessuti dal carattere più deciso, accentuato dai lavaggi che stropicciano la compostezza iniziale. La ricerca è concentrata su evocazioni culturali di inizio novecento, dalle forme a tait, ai tessuti anticati dello jacquard, alle lunghezze e drappeggi volutamente eccessivi. Tutto concorre a delineare una femminilità al confine tra due anime, una elegante, da haute couture, e una trasandata al limite della decadenza.

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È malinconico il mondo di Marc Le Bihan, rianima memorie represse dalla velocità dei tempi e dall’isolamento tecnologico, facendo riaffiorare l’intensità di un’epoca ancora densa di relazioni e appassionate conversazioni, accompagnate da del buon vino e joie de vivre!

 

E se volete immergervi nelle atmosfere dello show-room di Parigi, come di consueto, le nostre riprese…

 

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Un nuovo approfondimento intorno alla linea della Maison Issey Miyake che, prima tra tutte, lancia l’esordio della nuova stagione invernale, la Issey Miyake Resort. Presentata durante la Paris Fashion Week per l’estate 2019, dunque con un anno abbondante di anticipo rispetto alla sua uscita nei negozi, la collezione offre sempre pochi, quanto straordinari, esempi dell’arte tessile e formale del Miyake Design Studio. Dallo steam stretch alle texture tono su tono, la fibra di poliestere rivela tutto il suo potenziale artistico e funzionale.

Le spire di abiti, maglie e giacche assumono direzioni poetiche, diagonali intersecano motivi circolari e ondulatori, fuoriescono dalla consueta bidimensionalità dei tessuti e inseguono, rafforzandosi vicendevolmente, le innumerevoli componenti cromatiche. L’abilità di manipolare tante tecniche compositive, senza mai degenerare in derive decorative, rivela un’esuberanza creativa inesauribile insieme ad una rarissima comprensione delle esigenze più stringenti dell’abito speciale: non opprimere!

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L’eccezionalità di questi capi sta nel presentarsi come opere di grande slancio scenografico, ma, allo stesso tempo, di incredibile leggerezza ed elasticità. Indossandoli, la loro carica estetica – capace di stravolgere la propria percezione di sé – non affligge il movimento, limitandolo dentro una struttura coercitiva, come accade spesso con gli abiti da grandi occasioni, al contrario, elargisce una libertà senza precedenti, generando una percezione di agio e naturalezza immediati.

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Anche in espressioni meno sceniche, l’attenzione è sempre volta a scansare ovvietà, costrizioni, sia di movimento che di manutenzione (praticamente tutto si lava in lavatrice), ma più di ogni cosa e più di ogni altra azienda, la sfida della Maison Miyake sta nella sollecitazione costante del più appagante dei sentimenti: la gioia.

La gioia di vedersi rinnovate da un cambio d’abito, illuminate da colori sapientemente dosati e silhouette strategiche, capaci di valorizzare i  punti di forza e camuffare quelli deboli, la gioia di vedersi, improvvisamente e radicalmente, protagoniste di una contemporaneità apolide ed internazionale.

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Come sempre, un’occasione per apprezzarne la scoperta, è accompagnarvi nello show-room di Parigi insieme a noi…

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New entry di tutto rispetto per questa stagione, Phaedo Studios, marchio di origine cinese, il cui nome prende spunto da un’opera di Platone, il Fedone (in greco antico Φαίδων, Phàidō).

Affascinato dal suono e dai protagonisti del famoso dialogo platonico, il giovane designer Zhuzhu, battezza la propria esperienza connotandola subito di un’aura colta e sofisticata, confermata dalla cura straordinaria con cui presenta le proprie collezioni. Laureato alla SiChuan Fine Arts Institution e poi formatosi presso il London Central Saint Martins College of Art e Design, Zhuzhu prosegue gli studi alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, in Belgio e nel 2014 a Hangzhou, in Cina, fonda Phaedo Studios. Un percorso di internalizzazione culturale che si arricchisce e intensifica di rapporti con esponenti del mondo dell’arte, del design e della moda, ambiti che il giovane designer non separa, sviluppandoli invece come coordinate della propria dimensione artistica. Nel 2017 è ospite infatti della Triennale di Milano e assidue divengono le collaborazioni con l’artista e collezionista Axel Vervoordt, coltivando quello spirito wabi-sabi che accomuna le due personalità.

Negli accuratissimi stand dello show-room parigino è presente, in suggestiva abbondanza di tonalità e forme, principalmente la seta ed è in questa pregiata fibra che prende forma un racconto intorno a quanto si osserva che va ben oltre l’essere qui e ora del momento della selezione. Lo stupore, di fronte alle coinvolgenti sfumature espresse dai capi appesi, dà il la ad un narrare sottovoce che disvela le lunghe e complesse sperimentazioni di tinteggiatura dei tessuti.

I procedimenti sono naturali, fatti a mano all’interno di vasche contenenti, a seconda: frutta, alghe, terra, caffè. La densità del colore è data dall’esposizione al sole che, solitamente, dura 2 mesi. Più i capi sono esposti al sole e maggiore è l’intensità del colore, per cui si tinge, si lasciano i capi ad asciugare e poi si tinge nuovamente e ancora una volta al sole, fino a quando si raggiunge la nota desiderata.

Per questo ogni capo è unico e con l’utilizzo può variare, mutando tonalità a contatto con la pelle e l’aria.

I tessuti si confondono, il cotone sembra seta, la seta pelle, carta bruciata in un continuum cromatico che, come su di uno spartito musicale, armonizza l’intera collezione, altamente artigianale e fortemente caratterizzata da saperi sartoriali di antica tradizione cinese.

La poetica di Phaedo trova respiro nelle silhouette, un’alternanza di vuoti e pieni, di pesi e lunghezze che espande ed amplifica una femminilità solenne ed eterea, risoluta e diafana, in un flusso stordente e struggente, tra oriente ed occidente, solcando territori inesplorati e, probabilmente, ancora emergenti grazie ad influenze culturali e sintesi visive del tutto nuove e globalizzate.

Come sempre, un’occasione per apprezzarne la scoperta, è accompagnarvi nello show-room di Parigi insieme a noi…

 

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Da sempre presente nella storia della Maison, la Issey Miyake Resort, un tempo denominata Fête, viene presentata con largo anticipo rispetto alla stagione di riferimento. Inserita infatti nel calendario delle pre-collezioni, la linea interrompe quel periodo canonico di attesa tra la fine di una stagione e l’inizio di un’altra, animando la vita del negozio con suggestive promesse sul tempo che verrà.

Proiettati sull’imminente primavera/estate, i nuovi arrivi hanno l’aspetto delle ispirazioni creative del direttore artistico Yoshiyuki Miyamae, esplicitamente affascinato dalle opere dell’artista americana Georgia O’Keeffe durante il suo soggiorno nel New Mexico.

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Georgia O’Keeffe, From the Lake No.1, 1924, Oil on canvas, Nathan Emory Coffin

Collection of the Des Moines Arts Center

Le stampe, stese sulle complesse pieghe diagonali di abiti a tulipano, top circolari o su quelle a ondine verticali delle camicie doppiate, sono veri e propri campi pittorici, evocazioni degli astratti dipinti paesaggistici della pittrice statunitense. Nell’elaborazione offerta dalla Maison, con estrema complicità, il colore segue le leggere ed armoniose texture tessili del poliestere indeformabile, a sua volta filato in forme vagamente floreali o, nelle tinte unite, in modelli dalla semplicità visiva di un mare appena increspato. I costanti esperimenti tessili, identificativi dell’azienda giapponese, si esprimono pure nel particolare denim di cotone, dove la lavorazione, tipica del jeans, si trasforma in tela a tinta unita in continuità, senza cuciture intermedie.

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Anche per una collezione dalle dimensioni più ridotte come la Resort, Issey Miyake sfida lo sguardo disattento, lo invita a soffermarsi, a percorrere le onde ottenute dai processi a vapore delle esclusive tecnologie tessili messe in campo, a tradurre la levità di forme e colori in stupore e meraviglia per capi dall’innata vocazione ad essere impareggiabili compagni di viaggio!

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Come sempre, un’occasione per apprezzarne la scoperta, è accompagnarvi nello show-room di Parigi insieme a noi…

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Già ospite costante al Dover Street Market di Londra, nonostante la giovane età, Renli Su ci svela una Cina inedita rispetto ad ogni nostro luogo comune sulle produzioni low cost, usa e getta di certo abbigliamento cinese.

Figlia di una globalizzazione che accorcia le distanze spazio-temporali, la designer di Fujian, si forma all’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino e prosegue i propri studi al London College of Fashion di Londra. Appassionata di storia e legata ai paesaggi placidi e marittimi del proprio paese d’origine, in un originale e personalissimo sincretismo culturale, Renli Su tesse le proprie collezioni tenendo strette le fila di sollecitazioni locali e scoperte intorno alla storia del costume, effettuate nel corso degli studi in Gran Bretagna.

In particolare, è l’Inghilterra vittoriana ad affascinare la designer, quanto forme e tessuti possano rivelare della vita sociale del XIX e inizi XX secolo. Le stoffe rinvenute nelle fiere e nei mercati vintage della metropoli europea, le permettono di coltivare, col tipico sguardo accademico di chi è affamato di reperti tessili – meno accessibili in Cina dopo la Rivoluzione culturale – una cura per i dettagli visivi, appropriandosene nella realizzazione dei suoi capi.

Ogni collezione segue ed approfondisce un tema storico, per l’autunno/inverno 2018-2019 attinge quindi alla vicenda straordinaria della botanica francese Jeanne Baret, nata nel 1740 e considerata la prima donna a circumnavigare il mondo. L’insaziabile curiosità e la brama di avventura di Jeanne la condussero in un viaggio quasi impossibile: travestita da uomo si imbarcò sulla nave del principe Louis Antoine de Bouganville, restando molti anni in mare e visitando i luoghi più remoti. Durante i suoi viaggi scoprì, raccolse e catalogò centinaia di specie di piante, tra le quali la più famosa è la bouganville, così chiamata in onore dell’esploratore capo della spedizione.

Ci sarebbe da chiedersi dove sia la connessione tra la ricercatrice francese e il lavoro della designer cinese, ed è la stessa Renli Su a spiegarcelo:

”Mentre Jeanne Baret rappresentava due modi diversi di osservare il mondo naturale, combinando la conoscenza folklorica femminile dell’erboristeria con la scienza botanica fino ad allora dominata dagli uomini, io cerco un equilibrio tra silhouette femminili e maschili, fondendo elementi di epoca vittoriana e motivi floreali con le tenute da marinaio ad una visione più contemporanea e attiva della donna”

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Ed eccone la traduzione, in un sensibile racconto tessile:

Tradizioni navali evocate dal bianco crema solcato da strisce blu e beige, talvolta con trattamenti ad effetto ‘laccato’ che enfatizzano il luccichio del sole e del sale; blu intensi e grigi sfumati suggeriscono le profondità degli oceani. Rami fioriti ricamati, come si fossero adagiati naturalmente sul cotone trapuntato e lievemente goffrato, replicano i minuziosi disegni della botanica avventurosa. E ancora, jacquard di cotone e lino lievitano come maniche da marinaio. Le trame di seta e lana sono offerte pensando a proteggere chi è esposto alle intemperie del viaggio. I dettagli vittoriani si incontrano nel ‘disossamento del corsetto’, con stringhe incrociate e pachtwork tessili che insieme portano elementi della cultura cinese, dalla carta cotone, alle familiari divise da lavoro rintracciabili in tagli e chiusure diagonali. Il cotone trapuntato e l’uso di pelliccia sintetica con fibre in caldissimo Yak, per giacche e cappotti reversibili, insistono sul rispetto delle esigenze termiche stagionali.

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Renli Su non fa mistero delle sue ispirazioni e aspirazioni che, come lei stessa scrive, emergono da un istinto, profondamente umano, di avventura e dal coraggio di seguirlo, indipendentemente dalla propria origine e cultura, in spazi, geografici o mentali, ancora ignoti e spesso antitetici.

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Come sempre, un’occasione per apprezzarne la scoperta, è accompagnarvi nello show-room di Parigi insieme a noi…

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