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Tag "Japanese school"

Sono ormai diversi anni che Rei Kawakubo, in arte Comme des Garçons, affida esclusivamente ad indizi, atmosfere ed evocazioni la propria rappresentazione della stagione in corso. Emancipata da ogni obbligo verso le aspettative del pubblico globale, la designer giapponese incanta con esibizioni molto più prossime al mondo dell’arte che al settore di appartenenza. In passerella non sfilano capi di abbigliamento, ma provocazioni tessili, strutture architettoniche che avvolgono i corpi sacrificali di modelle prestate a trasportare opere scultoree sovradimensionate, volutamente ingombranti e sproporzionate rispetto allo spazio disponibile.

Impossibile non chiedersi perché o quale sia il messaggio più verosimile contenuto in  questa deriva artistica. Forse un’auto-concessione alla libertà d’espressione, contro i monotoni binari imposti dalla realtà fisica del corpo femminile, o una sottile provocazione, contro uno star-system sempre più acritico ed esibizionista. Di certo, il dialogo non è finalizzato alla vendita. I capi in sfilata sono infatti straordinari pezzi da museo d’arte contemporanea o per collezioniste facoltose. A sfilare è un’idea, una suggestione del motivo ispiratore della stagione che si ritroverà poi tradotta e portabilissima, nello sviluppo in show-room. Per l’autunno/inverno 2016-2017 si assiste quindi a poetici collage di antichi tessuti, arazzi floreali che catapultano il pubblico nel XVIII secolo, il secolo dei lumi, della rivincita della ragione sull’ignoranza e la superstizione.

Rei Kawakubo però non è nostalgica e manierista, il collage è tenuto insieme da metallici bottoni a pressione, da tagli e cuciture a vivo, diagonali che frammentano l’armonia decorativa del tempo, insinuando elementi da lei stessa definiti Punk, nell’accezione più provocatoria del termine.

Pelle sintetica, borchie, costanti asimmetrie, e dettagli che possono osservarsi nei motivi cuciti su gonne, nelle curvature dei punti nodali delle articolazioni, rinforzati come fossero armature tessili. E prolunghe, anelli di congiunzione regolabili, una flessibilità da smontare e rimontare, un assestamento continuamente rimodulabile nelle lunghezze e in un delicatissimo equilibrio tra ordine e disordine. Non è infatti detto, che si riesca a tornare alla ricomposizione originaria, tante sono le alternative possibili. Modernità e tradizione si alternano anche nelle lavorazioni, dove l’antica sapienza giapponese collabora con gli esperimenti più arditi nelle multi-stratificazioni di tele di poliestere con pannelli di rayon, cupro e cotone, in un incontro che vede la materia determinare ed imporre la forma finale del pezzo, sia esso giacca, gonna o soprabito.

Inutile supporre quanto Rei Kawakubo, nell’allestire un inedito e personale sincretismo temporale, Punk ed illuminista, pensi a donne determinate a stare nel proprio tempo con il vigore e l’esuberanza di chi è dotato di autonomia critica ed immaginifica!

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Più che un marchio d’abbigliamento, Cosmic Wonder è una filosofia di vita e un progetto concettuale ideato dell’artista giapponese Yukinori Maeda nel 1997.

Al proprio centro e da filo conduttore, com’è intuibile dal nome, è posta un’attenzione assoluta ai processi che regolano il nostro ecosistema terrestre, a partire da aspetti basilari come la luce.

Dalle installazioni artistiche, alle pubblicazioni ed edizioni musicali, fino alla costruzione di una struttura, nel 2007, dove integrare le diverse applicazioni ed ospitare, secondo criteri eco-sostenibili i visitatori, per esposizioni e concerti, con Light Source, COSMIC WONDER diviene anche una linea di abbigliamento di altissima qualità.

I tessuti, sempre a basso impatto ambientale, derivano da un intero processo produttivo certificato biologico ed equo-solidale. I capi sono tinti a mano con erbe, piante e alghe: akane, melograno, gardenia, foglie di gelso, per citarne alcune. Lo stesso vale per le stampe, sempre realizzate con coloranti a base di piante.

Ma, al contrario di quanto solitamente accade per linee concepite in funzione di principi ambientali, Cosmic Wonder pone estrema attenzione anche al design di ogni capo. Tagli, cuciture e la stessa composizione delle fantasie, riflettono il background culturale della scuola giapponese, ricca di asimmetrie e forme inconsuete.

Nella proposta di uno stile di vita ambientalista, l’artista Yukinori Maeda genera un originale sincretismo tra le direttive ecologiste globali e la filosofia Zen, in cui l’armonia e la bellezza del cosmo coesistono e si alimentano insieme alle risorse e all’equilibrio dell’individuo, a partire dalla condivisione di quelle particelle elementari che compongono la luce, il calore, ma anche i sogni e le idee.

 

 

 

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A continua riprova di quanto labili siano i confini tra arte e moda all’interno della cosiddetta scuola giapponese, segnaliamo la curiosa installazione realizzata per la boutique di Issey Miyake a Tokyo, dall’architetto Yoichi Yamamoto.

Una carrellata di sedie azzurre, su cui stanno appesi e appoggiati i colorati cappelli del più illustre modista nipponico, Akio Hirata.


La naturale collocazione dei copricapi cela, in realtà, un artificiale ed illusorio effetto ottico, giocato su un’ingegnosa combinazione di elementi tridimensionali, gli schienali, e bidimensionali, le gambe delle allegre seggiole azzurre.


Se si osserva la vetrina da una certa angolazione, l’apparente semplicità dell’allestimento riesce ad ingannare l’ingenuità dello sguardo. Solo spostando il punto d’osservazione, con grande sorpresa per il passante distratto, il complesso trompe l’oeil viene risolto.

Un’ulteriore testimonianza dell’imprescindibile valore aggiunto apportato da competenze che si compenetrano a vicenda, ma anche, dal considerare la facciata di un negozio non come effimera bacheca di capi in vendita, bensì, come spazio privilegiato su cui allestire astratti esercizi del pensiero, da condividere, responsabilmente, con un pubblico in movimento.


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Sacai
La quasi decennale collaborazione con Junya Watanabe e Rei Kawakubo, non ha impedito ad Abe Chitose, designer del giovane marchio Sacai, di prendere le distanze dagli illustri maestri e dar forma ad una personale ed autonoma interpretazione sulla moda ed il vestire.

Mentre la cosiddetta scuola giapponese è più propensa a trattare l’abito per il suo potenziale artistico, Chitose lo riporta alla sua funzione originaria, quella di accessorio che deve adeguarsi ed essere compatibile con le diverse esigenze del quotidiano. Questa prospettiva, assolutamente concreta e pratica, dà rilievo alla scansione temporale e spaziale della nostra vita sociale e si impegna a risolverne le varie circostanze. Per farlo, Chitose ricorre agli schemi formali classici degli abiti di uso comune, soprattutto occidentali, ma non rinuncia a sezionarli per poi ricomporli applicandovi quella sensibilità poetica acquisita nel proprio ambiente formativo.

Nell’originale sincretismo tra oriente ed occidente, si ritrovano abiti a tubino, trench, blazer ed anche un esplicito tributo a Chanel, celebrazione, al contempo, di una femminilità intramontabile, dall’eleganza innata.

Senza farsi imbrigliare dalla noiosa monotonia della regolarità, Sacai spezza il ritmo introducendo accorti espedienti che tradiscono sistematicamente quanto i nostri occhi si aspettavano: sovrapposizioni di tessuti appena abbozzate; sobri punti di congiunzione tra stampe e materiali differenti; inaspettate increspature o faldoni mimetizzati dall’apparente prevedibilità delle forme.

Nel delicato equilibrio tra ricerca e ripetizione, a prendere il sopravvento è un’impeccabile, raffinata ed essenziale silhouette femminile.

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La colonna sonora della sfilata di Yohji Yamamoto lancia un indizio forte sull’ispirazione della stagione in corso. Il rock di Jimi Hendrix, a ben 40 anni ormai dalla prematura scomparsa, detta infatti il ritmo delle uscite, sincronizzando i battiti acustici ai colori e alle linee in passerella.

Yohji YamamotoMa la rocker plasmata da Yamamoto, non ha nulla a che vedere col look trasandato tipico delle sub-culture giovanili degli anni ’70. Lontana da prevedibili stereotipi e scontate rivisitazioni, la collezione articola proposte aderenti agli elevatissimi standard creativi del designer giapponese: alta sartoria; tagli asimmetrici; tessuti ricercati o ingegnati tout court. L’entusiasmo artistico azzarda persino una gonna gonfiabile in vinile trasparente, dotata di bottoni e pieghe ad effetto plissé. Se ogni capo è accompagnato da anfibi pesanti o infradito leggeri, non si tratta di rimarcare atmosfere e suggestioni metropolitane, ma di saldare alla quotidianità completi che, altrimenti, decollerebbero diretti negli esclusivi ambienti dell’alta moda.

Niente dunque di già codificato per uno dei più significativi precursori della cosiddetta scuola giapponese, proprio in questi mesi in esposizione presso le sale del prestigioso Victoria & Albert Museum di Londra. Un’occasione per comprendere e seguire le tappe formative e i temi portanti dell’estetica di un genio rivoluzionario del prêt a porter, le cui produzioni hanno ottenuto il riconoscimento di opere d’arte a tutti gli effetti, giustamente esposte e rese pubbliche, per almeno la durata di una mostra.

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