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   IVO MILAN – Radical Fashion Blog

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Sicuramente il più sensibile interprete dello spirito cyber e metropolitano proprio delle culture urbane contemporanee, Junya, storico collaboratore di Rei Kawakubo per Comme des Garçons e oggi stella di prima grandezza nel panorama della moda internazionale, stupisce per l’inesauribile capacità di trasformare i materiali che compongono e descrivono gli odierni paesaggi industriali in spunti a cui riferire intere collezioni. Fili d’acciaio, minuteria metallica in ottone, placche di plexiglas e tessuti di uso industriale, di volta in volta rielaborati e tradotti in capolavori scultorei da indossare, tracce di un’epoca decodificata secondo un complesso progetto intellettuale, piuttosto che effimeri prodotti di un business di massa.

Ma l’abilità espressiva del designer giapponese spiazza anche nelle deviazioni dai propri standard ispiratori. La collezione primaverile, più che richiamare alle angoscianti atmosfere futuristiche ed ipertecnologiche di megalopoli ultramoderne, suggerisce il relax vacanziero di indefinite località balneari.

Maschere senza volto sfilano nella sospensione temporale di spazi lontani dalla frenesia quotidiana, mentre i volumi assecondano ritmi esistenziali rallentati e, soprattutto, spensierati.

I corpi, sagomati nelle consuete ed elaborate silhouette femminili, fluttuano tra righe barré e pois in georgette leggerissimi. Gli abiti sono composizioni di giacche, cardigan o semplici maglie su vesti drappeggiate in tessuti e stampe differenti, o fresche gonne estive.

Il blu navy e il ricorrente color crema degli sfondi, delineano orizzonti marinari, estivi, trascinando l’immaginazione dentro al calore, le promesse e il benessere di una stagione tanto attesa e vagheggiata.

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Pensare, assemblare per poi disfare e riassemblare ancora, sperimentando volumi e tessuti da visionare a 360 gradi e sempre da vicino, perché quello che sembra, in realtà  non è, o è altro ancora. Pare essere questo il modus operandi alla base della nuova collezione di Rei Kawakubo che, come sempre, non si limita a proporre tendenze per la stagione in corso, ma complesse elaborazioni creative. L’abito non viene presentato per quello che è, un oggetto compiuto e concluso, pronto da indossare, piuttosto diviene un modulo astratto da replicare, sovrapporre, rovesciare e abbinare. Quasi fosse un replicante di cui non ci si può sbarazzare, il capo d’abbigliamento, che si tratti di gonna, camicia, giacca o gilet, prende forma e fuoriesce da ogni dove. Il bordo di un rever, la cucitura di una spalla, il fondo di una gonna, ma anche di una maglia, o il retro di un abito, sono tutti spazi possibili per collocarvi un altro elemento.

Comme des Garçons mette in scena una sorta di metalinguaggio sulla moda, dove, al fare e produrre, vengono anteposte e rivelate l’analisi e la descrizione del processo mentale da cui dipende quel fare. Incredibilmente, un’operazione dai risvolti potenzialmente ossessivi ed ampollosi, riesce invece a comporre un repertorio poetico e, nonostante la centralità delle linee asimmetriche, nel complesso armonioso. Grazie alle magistrali competenze sartoriali ed estetiche, i disequilibri cromatici e volumetrici vengono tradotti in soluzioni equilibrate, mentre l’impulso ad eccedere, viene stemperato da pezzi più rigorosi, dove il genio creativo della designer traspare da invenzioni tessili capaci di far apparire il cotone pelle, ad esempio.
Infine, la collezione (vai al sito) reclama tempo e spirito d’osservazione, perché, come si diceva all’inizio, quello che sembra non è. Molti capi offrono infatti la possibilità di essere indossati in diverse versioni, moltiplicando enormemente il numero di articoli a disposizione.

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La colonna sonora della sfilata di Yohji Yamamoto lancia un indizio forte sull’ispirazione della stagione in corso. Il rock di Jimi Hendrix, a ben 40 anni ormai dalla prematura scomparsa, detta infatti il ritmo delle uscite, sincronizzando i battiti acustici ai colori e alle linee in passerella.

Yohji YamamotoMa la rocker plasmata da Yamamoto, non ha nulla a che vedere col look trasandato tipico delle sub-culture giovanili degli anni ’70. Lontana da prevedibili stereotipi e scontate rivisitazioni, la collezione articola proposte aderenti agli elevatissimi standard creativi del designer giapponese: alta sartoria; tagli asimmetrici; tessuti ricercati o ingegnati tout court. L’entusiasmo artistico azzarda persino una gonna gonfiabile in vinile trasparente, dotata di bottoni e pieghe ad effetto plissé. Se ogni capo è accompagnato da anfibi pesanti o infradito leggeri, non si tratta di rimarcare atmosfere e suggestioni metropolitane, ma di saldare alla quotidianità completi che, altrimenti, decollerebbero diretti negli esclusivi ambienti dell’alta moda.

Niente dunque di già codificato per uno dei più significativi precursori della cosiddetta scuola giapponese, proprio in questi mesi in esposizione presso le sale del prestigioso Victoria & Albert Museum di Londra. Un’occasione per comprendere e seguire le tappe formative e i temi portanti dell’estetica di un genio rivoluzionario del prêt a porter, le cui produzioni hanno ottenuto il riconoscimento di opere d’arte a tutti gli effetti, giustamente esposte e rese pubbliche, per almeno la durata di una mostra.

Scopri la nuova collezione di Yohji Yamamoto >>

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Ancora una volta Rey Kawakubo riesce a stupire trovando nuove soluzioni per decostruire gli indumenti più elementari e trasformarli in opere d’arte.

Nel video seguente, un breve estratto della sfilata di Parigi in cui veniva presentata la nuova collezione Primavera-Estate 2011.

 

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Rick OwensEccentrico personaggio prestato temporaneamente dal nuovo continente alla Ville Lumiere, Rick Owens, in pochi anni, è riuscito a conquistare il consenso dello star system americano e il sostegno delle maggiori riviste di moda, trasformandosi in un vero e proprio fenomeno di tendenza.

Le sue personalissime silhouette hanno ottenuto un successo tanto generalizzato da divenire prototipi di riferimento per una moltitudine di prodotti emuli e modus vivendi per uno stuolo di appassionati. Evento eccezionale, soprattutto per uno stilista che non si muove all’interno di un filone già noto ed affermato, ma che, al contrario, si è esposto con coraggio elaborando nuovi ed originali standard stilistici. Facilmente riconoscibili, questi ruotano intorno ad una stravagante commistione di elementi riferibili a certe sottoculture giovanili, un po’ hippy e darkeggianti, e tratti fortemente aristocratici, forniti spesso dall’austerità delle lunghezze o dalla complessità delle chiusure nei colli montanti dei capi spalla. Se maniche troppo lunghe, bordi sbrindellati e un frequente ricorso a maglie e maglioni amplificano un tipo umano trasandato, al limite della sciatteria, viceversa, un macchinoso equilibrio tra forme, volumi e materiali, tradisce un’insospettabile propensione al buon gusto e, più in generale, all’eleganza.

Le collezioni di Rick Owens si prestano così a paradossali valutazioni: da un lato, appagano le aspettative di coloro che identificano e apprezzano un indumento per la sua chiara collocazione tra gli oggetti che procurano prestigio. Dall’altro, all’opposto, vengono apprezzate da persone che, in un abito, una giacca o un cappotto, cercano semplicemente l’emozione di scoprire qualcosa di inedito e personale, indipendenti da ogni tipo di omologazione e totalmente estranee ai diktat del sistema della moda.

Scopri la collezione di Rick Owens

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