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Uscita dal National Institute of Design and Technology di Ahmedabad, Aneet Arora firma la propria linea col marchio Péro, che in Marwari, una delle lingue diffuse nel Rajasthan, significa, semplicemente, “indossare”.

Péro outfitCome produttrice di tessuti e abiti, Aneet parte dalla ferma convinzione che le nuove tendenze emergano tra i colori, le combinazioni e lo stile delle popolazioni locali, considerate in tal senso le vere trendsetters della contemporaneità.

Inutile dunque seguire la moda nella sua alternanza stagionale, meglio accompagnare e rielaborare quel serbatoio naturale che, quotidianamente, ci ruota attorno.

Ma il mondo in questione è il ricchissimo e vastissimo subcontinente indiano, una galassia sterminata di culture che coesistono da secoli e da secoli sperimentano ed incrociano spettacolari competenze tessili e cromatiche. Péro attinge da queste antiche tradizioni indigene per creare pezzi di estrema laboriosità tecnica, dove colori e materiali prendono forma insieme nel paziente lavoro al telaio.

Non solo cotoni e sete di rara qualità determinano il valore di ogni capo, ma l’artigianalità della realizzazione è tale che ogni prodotto mantiene un’unicità estranea a qualsiasi serialità di produzione industriale. Quando i disegni non provengono dal metodico intreccio del telaio, risultano da minuziosi timbri in legno fatti a mano, mentre, dettagli come i bottoni, rivelano la preziosità dell’argento.

Detail Péro

Detail Péro
Le linee, comode ed ampie, mostrano infine la singolare abilità di Aneet nel riuscire ad integrare un’ispirazione di dichiarata matrice etnica, con elementi moderni e cosmopoliti, evidenziati dal frequente ricorso a fantasie asimmetriche e lievi sovrapposizioni.

Péro
In un’epoca globalizzata, Péro di sicuro propone un interessante ed originale modo di vestire, ma rappresenta prima di tutto un esempio eccellente di erudite ed imperdibili contaminazioni.

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Sacai
La quasi decennale collaborazione con Junya Watanabe e Rei Kawakubo, non ha impedito ad Abe Chitose, designer del giovane marchio Sacai, di prendere le distanze dagli illustri maestri e dar forma ad una personale ed autonoma interpretazione sulla moda ed il vestire.

Mentre la cosiddetta scuola giapponese è più propensa a trattare l’abito per il suo potenziale artistico, Chitose lo riporta alla sua funzione originaria, quella di accessorio che deve adeguarsi ed essere compatibile con le diverse esigenze del quotidiano. Questa prospettiva, assolutamente concreta e pratica, dà rilievo alla scansione temporale e spaziale della nostra vita sociale e si impegna a risolverne le varie circostanze. Per farlo, Chitose ricorre agli schemi formali classici degli abiti di uso comune, soprattutto occidentali, ma non rinuncia a sezionarli per poi ricomporli applicandovi quella sensibilità poetica acquisita nel proprio ambiente formativo.

Nell’originale sincretismo tra oriente ed occidente, si ritrovano abiti a tubino, trench, blazer ed anche un esplicito tributo a Chanel, celebrazione, al contempo, di una femminilità intramontabile, dall’eleganza innata.

Senza farsi imbrigliare dalla noiosa monotonia della regolarità, Sacai spezza il ritmo introducendo accorti espedienti che tradiscono sistematicamente quanto i nostri occhi si aspettavano: sovrapposizioni di tessuti appena abbozzate; sobri punti di congiunzione tra stampe e materiali differenti; inaspettate increspature o faldoni mimetizzati dall’apparente prevedibilità delle forme.

Nel delicato equilibrio tra ricerca e ripetizione, a prendere il sopravvento è un’impeccabile, raffinata ed essenziale silhouette femminile.

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Issey Miyake

Tutta la poetica e l’arte di Issey Miyake possiamo associarle a due brevi parole: luce e gioia.

I suoi abiti sono una festa per gli occhi e lo spirito, oggetto di attenzione, stupore e meraviglia anche da parte di un pubblico alieno al mondo della moda, ma vulnerabile, semplicemente, alla bellezza.

La famosissima maison giapponese ha partorito pezzi ospitati nelle più prestigiose gallerie d’arte contemporanea, tanto è rivoluzionaria e futuristica la tecnologia alla base delle proprie creazioni. Qualsiasi forma può essere ingegnata, qualsiasi tonalità cromatica concretizzata, senza mai calpestare l’umana, ancestrale propensione a riconoscere canoni armonici.

Miyake non costringe a sforzi di comprensione e interpretazione, perché ciò che produce avremmo già, istintivamente, voluto crearlo noi.

L’opera-abito è espressione e risultato di una potente libertà di pensiero, emancipata dalle costrizioni che le ridotte potenzialità dei materiali porrebbero. Se infatti una tecnica è in grado di liberare la materia dalle proprie oggettive limitazioni, ecco che, quella stessa materia, in questo caso il tessuto, può divenire oggetto di ogni manipolazione e plasmarsi, modellarsi esclusivamente in funzione della capacità creativa dell’artista.

Issey Miyake non è un designer, ma un genio che ha portato l’arte nella vita quotidiana, permettendo di indossarla. Che ci si imbatta nel pezzo spettacolare, o in uno più ragionevole e discreto, si ha sempre a che fare con la medesima geniale creazione, perché il tessuto, l’elemento primario, ha subito trattamenti tali da renderlo un capo irriproducibile, se non ne laboratori da cui ne è uscito.

Ogni collezione esibisce struttura e colore, nelle loro illimitate possibilità espressive, declinate e sperimentate perché l’incanto e la meraviglia irrompano nelle nostre vite. Un gesto creativo di clamorosa generosità.

 

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Sicuramente il più sensibile interprete dello spirito cyber e metropolitano proprio delle culture urbane contemporanee, Junya, storico collaboratore di Rei Kawakubo per Comme des Garçons e oggi stella di prima grandezza nel panorama della moda internazionale, stupisce per l’inesauribile capacità di trasformare i materiali che compongono e descrivono gli odierni paesaggi industriali in spunti a cui riferire intere collezioni. Fili d’acciaio, minuteria metallica in ottone, placche di plexiglas e tessuti di uso industriale, di volta in volta rielaborati e tradotti in capolavori scultorei da indossare, tracce di un’epoca decodificata secondo un complesso progetto intellettuale, piuttosto che effimeri prodotti di un business di massa.

Ma l’abilità espressiva del designer giapponese spiazza anche nelle deviazioni dai propri standard ispiratori. La collezione primaverile, più che richiamare alle angoscianti atmosfere futuristiche ed ipertecnologiche di megalopoli ultramoderne, suggerisce il relax vacanziero di indefinite località balneari.

Maschere senza volto sfilano nella sospensione temporale di spazi lontani dalla frenesia quotidiana, mentre i volumi assecondano ritmi esistenziali rallentati e, soprattutto, spensierati.

I corpi, sagomati nelle consuete ed elaborate silhouette femminili, fluttuano tra righe barré e pois in georgette leggerissimi. Gli abiti sono composizioni di giacche, cardigan o semplici maglie su vesti drappeggiate in tessuti e stampe differenti, o fresche gonne estive.

Il blu navy e il ricorrente color crema degli sfondi, delineano orizzonti marinari, estivi, trascinando l’immaginazione dentro al calore, le promesse e il benessere di una stagione tanto attesa e vagheggiata.

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Pensare, assemblare per poi disfare e riassemblare ancora, sperimentando volumi e tessuti da visionare a 360 gradi e sempre da vicino, perché quello che sembra, in realtà  non è, o è altro ancora. Pare essere questo il modus operandi alla base della nuova collezione di Rei Kawakubo che, come sempre, non si limita a proporre tendenze per la stagione in corso, ma complesse elaborazioni creative. L’abito non viene presentato per quello che è, un oggetto compiuto e concluso, pronto da indossare, piuttosto diviene un modulo astratto da replicare, sovrapporre, rovesciare e abbinare. Quasi fosse un replicante di cui non ci si può sbarazzare, il capo d’abbigliamento, che si tratti di gonna, camicia, giacca o gilet, prende forma e fuoriesce da ogni dove. Il bordo di un rever, la cucitura di una spalla, il fondo di una gonna, ma anche di una maglia, o il retro di un abito, sono tutti spazi possibili per collocarvi un altro elemento.

Comme des Garçons mette in scena una sorta di metalinguaggio sulla moda, dove, al fare e produrre, vengono anteposte e rivelate l’analisi e la descrizione del processo mentale da cui dipende quel fare. Incredibilmente, un’operazione dai risvolti potenzialmente ossessivi ed ampollosi, riesce invece a comporre un repertorio poetico e, nonostante la centralità delle linee asimmetriche, nel complesso armonioso. Grazie alle magistrali competenze sartoriali ed estetiche, i disequilibri cromatici e volumetrici vengono tradotti in soluzioni equilibrate, mentre l’impulso ad eccedere, viene stemperato da pezzi più rigorosi, dove il genio creativo della designer traspare da invenzioni tessili capaci di far apparire il cotone pelle, ad esempio.
Infine, la collezione (vai al sito) reclama tempo e spirito d’osservazione, perché, come si diceva all’inizio, quello che sembra non è. Molti capi offrono infatti la possibilità di essere indossati in diverse versioni, moltiplicando enormemente il numero di articoli a disposizione.

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