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Abbigliamento


Issey Miyake

Tutta la poetica e l’arte di Issey Miyake possiamo associarle a due brevi parole: luce e gioia.

I suoi abiti sono una festa per gli occhi e lo spirito, oggetto di attenzione, stupore e meraviglia anche da parte di un pubblico alieno al mondo della moda, ma vulnerabile, semplicemente, alla bellezza.

La famosissima maison giapponese ha partorito pezzi ospitati nelle più prestigiose gallerie d’arte contemporanea, tanto è rivoluzionaria e futuristica la tecnologia alla base delle proprie creazioni. Qualsiasi forma può essere ingegnata, qualsiasi tonalità cromatica concretizzata, senza mai calpestare l’umana, ancestrale propensione a riconoscere canoni armonici.

Miyake non costringe a sforzi di comprensione e interpretazione, perché ciò che produce avremmo già, istintivamente, voluto crearlo noi.

L’opera-abito è espressione e risultato di una potente libertà di pensiero, emancipata dalle costrizioni che le ridotte potenzialità dei materiali porrebbero. Se infatti una tecnica è in grado di liberare la materia dalle proprie oggettive limitazioni, ecco che, quella stessa materia, in questo caso il tessuto, può divenire oggetto di ogni manipolazione e plasmarsi, modellarsi esclusivamente in funzione della capacità creativa dell’artista.

Issey Miyake non è un designer, ma un genio che ha portato l’arte nella vita quotidiana, permettendo di indossarla. Che ci si imbatta nel pezzo spettacolare, o in uno più ragionevole e discreto, si ha sempre a che fare con la medesima geniale creazione, perché il tessuto, l’elemento primario, ha subito trattamenti tali da renderlo un capo irriproducibile, se non ne laboratori da cui ne è uscito.

Ogni collezione esibisce struttura e colore, nelle loro illimitate possibilità espressive, declinate e sperimentate perché l’incanto e la meraviglia irrompano nelle nostre vite. Un gesto creativo di clamorosa generosità.

 

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Sicuramente il più sensibile interprete dello spirito cyber e metropolitano proprio delle culture urbane contemporanee, Junya, storico collaboratore di Rei Kawakubo per Comme des Garçons e oggi stella di prima grandezza nel panorama della moda internazionale, stupisce per l’inesauribile capacità di trasformare i materiali che compongono e descrivono gli odierni paesaggi industriali in spunti a cui riferire intere collezioni. Fili d’acciaio, minuteria metallica in ottone, placche di plexiglas e tessuti di uso industriale, di volta in volta rielaborati e tradotti in capolavori scultorei da indossare, tracce di un’epoca decodificata secondo un complesso progetto intellettuale, piuttosto che effimeri prodotti di un business di massa.

Ma l’abilità espressiva del designer giapponese spiazza anche nelle deviazioni dai propri standard ispiratori. La collezione primaverile, più che richiamare alle angoscianti atmosfere futuristiche ed ipertecnologiche di megalopoli ultramoderne, suggerisce il relax vacanziero di indefinite località balneari.

Maschere senza volto sfilano nella sospensione temporale di spazi lontani dalla frenesia quotidiana, mentre i volumi assecondano ritmi esistenziali rallentati e, soprattutto, spensierati.

I corpi, sagomati nelle consuete ed elaborate silhouette femminili, fluttuano tra righe barré e pois in georgette leggerissimi. Gli abiti sono composizioni di giacche, cardigan o semplici maglie su vesti drappeggiate in tessuti e stampe differenti, o fresche gonne estive.

Il blu navy e il ricorrente color crema degli sfondi, delineano orizzonti marinari, estivi, trascinando l’immaginazione dentro al calore, le promesse e il benessere di una stagione tanto attesa e vagheggiata.

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Pensare, assemblare per poi disfare e riassemblare ancora, sperimentando volumi e tessuti da visionare a 360 gradi e sempre da vicino, perché quello che sembra, in realtà  non è, o è altro ancora. Pare essere questo il modus operandi alla base della nuova collezione di Rei Kawakubo che, come sempre, non si limita a proporre tendenze per la stagione in corso, ma complesse elaborazioni creative. L’abito non viene presentato per quello che è, un oggetto compiuto e concluso, pronto da indossare, piuttosto diviene un modulo astratto da replicare, sovrapporre, rovesciare e abbinare. Quasi fosse un replicante di cui non ci si può sbarazzare, il capo d’abbigliamento, che si tratti di gonna, camicia, giacca o gilet, prende forma e fuoriesce da ogni dove. Il bordo di un rever, la cucitura di una spalla, il fondo di una gonna, ma anche di una maglia, o il retro di un abito, sono tutti spazi possibili per collocarvi un altro elemento.

Comme des Garçons mette in scena una sorta di metalinguaggio sulla moda, dove, al fare e produrre, vengono anteposte e rivelate l’analisi e la descrizione del processo mentale da cui dipende quel fare. Incredibilmente, un’operazione dai risvolti potenzialmente ossessivi ed ampollosi, riesce invece a comporre un repertorio poetico e, nonostante la centralità delle linee asimmetriche, nel complesso armonioso. Grazie alle magistrali competenze sartoriali ed estetiche, i disequilibri cromatici e volumetrici vengono tradotti in soluzioni equilibrate, mentre l’impulso ad eccedere, viene stemperato da pezzi più rigorosi, dove il genio creativo della designer traspare da invenzioni tessili capaci di far apparire il cotone pelle, ad esempio.
Infine, la collezione (vai al sito) reclama tempo e spirito d’osservazione, perché, come si diceva all’inizio, quello che sembra non è. Molti capi offrono infatti la possibilità di essere indossati in diverse versioni, moltiplicando enormemente il numero di articoli a disposizione.

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La colonna sonora della sfilata di Yohji Yamamoto lancia un indizio forte sull’ispirazione della stagione in corso. Il rock di Jimi Hendrix, a ben 40 anni ormai dalla prematura scomparsa, detta infatti il ritmo delle uscite, sincronizzando i battiti acustici ai colori e alle linee in passerella.

Yohji YamamotoMa la rocker plasmata da Yamamoto, non ha nulla a che vedere col look trasandato tipico delle sub-culture giovanili degli anni ’70. Lontana da prevedibili stereotipi e scontate rivisitazioni, la collezione articola proposte aderenti agli elevatissimi standard creativi del designer giapponese: alta sartoria; tagli asimmetrici; tessuti ricercati o ingegnati tout court. L’entusiasmo artistico azzarda persino una gonna gonfiabile in vinile trasparente, dotata di bottoni e pieghe ad effetto plissé. Se ogni capo è accompagnato da anfibi pesanti o infradito leggeri, non si tratta di rimarcare atmosfere e suggestioni metropolitane, ma di saldare alla quotidianità completi che, altrimenti, decollerebbero diretti negli esclusivi ambienti dell’alta moda.

Niente dunque di già codificato per uno dei più significativi precursori della cosiddetta scuola giapponese, proprio in questi mesi in esposizione presso le sale del prestigioso Victoria & Albert Museum di Londra. Un’occasione per comprendere e seguire le tappe formative e i temi portanti dell’estetica di un genio rivoluzionario del prêt a porter, le cui produzioni hanno ottenuto il riconoscimento di opere d’arte a tutti gli effetti, giustamente esposte e rese pubbliche, per almeno la durata di una mostra.

Scopri la nuova collezione di Yohji Yamamoto >>

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Ancora una volta Rey Kawakubo riesce a stupire trovando nuove soluzioni per decostruire gli indumenti più elementari e trasformarli in opere d’arte.

Nel video seguente, un breve estratto della sfilata di Parigi in cui veniva presentata la nuova collezione Primavera-Estate 2011.

 

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